Melek Ta'us

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lunedì 11 aprile 2011

"Green Snake": Il cinema Fantastico di Tsui Hark

Quando John Keats scrisse il suo bel poema “Lamia”, nel 1819, aveva in mente alcuni temi ben specifici. Riprendeva la famosa leggenda riportata da Flavio Filostrato nel suo “Vita di Apollonio di Tiana”, affascinante figura di profeta “pagano”, quasi in opposizione al Nazareno dei cristiani ed al famoso episodio durante il quale il mago greco Apollonio libera uno dei suoi discepoli dalla nefasta influenza di una Lamia, una creatura metà donna e metà serpente, dedita al cannibalismo a votata alla perdizione di uomini giovani e nel pieno del loro vigore. Keats mondò la leggenda greca di tutte le sue componenti “orrifiche”, presentando una Lamia che è più dea che “spauracchio” o orchessa, come la “Vita” di Filostrato sembra mostrarcela, innocentemente innamorata di un mortale e per il quale Essa è disposta a scendere dal suo Iperuranio per incarnarsi nel perituro mondo dei mortali. Nel poema di Keats i ruoli sono rovesciati rispetto alla leggenda. Lycio è un personaggio tormentato e debole di fronte alla possanza di questo amore divino, Lamia una figura tragica e immortale, tipicamente romantica, mentre Apollonio perde i tratti taumaturgici della Leggenda per acquistare quelli del censore prosaico e puritano che condanna l’amore in nome del buonsenso e delle regole sociali. Keats aveva in mente la caducità della bellezza, la sua ispirazione divina e illuminante destinata al crepuscolo ed all’offuscamento, come sarebbe terminata la sua giovane e precoce vita, tutti questi temi ed altri ancora si trovano nella meravigliosa riduzione cinematografica di Tsui Hark. Le vicissitudini attuali del merchandising cinematografico ci hanno letteralmente invaso di visioni dell’estremo Oriente, facendoci forse illusoriamente credere che tale boom intervenga a colmare una crisi oramai endemica di idee all’interno del cinema Hollywoodiano. Ma si tende a dimenticare che il cinema di genere fantastico estremo-orientale era attivo e foriero di ispirazione per i cineasti statunitensi (e vice-versa) già dagli anni ottanta e con risultati tutt’altro che mediocri. Fu lo spassoso "Mr Vampire" del 1985 e per la regia di Geung Si Sin Sang a riuscire dove non era riuscito il "Fearless Vampire Killers" del 1967 di Roman Polanski, ovvero in quella miscela di Humor, atmosfere horror-fantasy e commedia che solo un buon regista e degli attori versatili riescono a raggiungere e, al contrario, fu proprio Tsui Hark a ispirare con il suo spettacolare "Zu: Warriors from the Magic Mountain" del 1983 il flop cinematografico (flop per colpa dei gusti statunitensi non ancora pronti per il cinema di Hong Kong e non per il film che rimane a tutt’oggi un “cult” ottimamente concepito) di John Carpenter. Tsui Hark è regista imaginifico, fortemente ispirato e incline a scenografie grandiose, combattimenti spettacolari e effetti speciali mirabolanti, il tutto condito da un’atmosfera onirica e rarefatta che neppure le ultime magniloquenti creazioni di Zhang Ymou (Hero, Forbidden City) riescono a surclassare. In Green Snake troviamo tutto questo, mentre la sceneggiatura della scrittrice cinese Lillian Lee (che ha sceneggiato anche il discusso “Farewell my concubine” di Chen Kaige), confeziona per noi una storia che è incubo sensuale e delirio fantastico, dove confluiscono tutti i temi ambigui e affascinanti che formano da sempre la mitologia occidentale del serpente. Il pretesto lo fornisce un racconto popolare cinese: “The White snake” al quale la Lee si ispira, per rovesciare subito i ruoli ed affidare il ruolo principale alla “Lamia” stessa, Xiaoqing, o meglio, a una delle due Lamie sorelle. La Lee e Tsui Hark fanno però perno sull’immaginario occidentale quando concepiscono "Green Snake" (1993) piuttosto che sulla leggenda Cino-Indiana delle “Nagini”, donne-serpente di origine semidivina e dotate di sovrannaturali poteri di seduzione. Due “Nagini” si installano in una città umana alla ricerca dell’amore perfetto, proprio come nella “Lamia” di Keats ed esattamente come nel poema l’Apollonio orientale non tarda a tagliare loro la strada, nella figura di un monaco bacchettone e dotato di spaventosi poteri mistici, simbolo della ragione che “taglia e separa” nella più pura tradizione Junghiana. Contrariamente al poema di Keats, nel film di Tsui Hark le Lamie sono una rappresentazione della sensualità pura e libera, contrapposta alla moralità astringente, dogmatica ed autoritaria. Le “Nagini” squadernano davanti ai nostri occhi affascinati trasformazioni impossibili, feste per i sensi e per la vista, fiori di loto che si illuminano come lampade nella notte della città, veli che si attorcigliano su sé stessi fino a formare figure indefinibili, giochi d’acqua e di serpenti immensi che si mutano in languide fanciulle scendendo da tetti spioventi. La scena nella quale il fortunato e stolido oggetto delle attenzioni della Nagini, il nostro Lycio cinese, assiste alla prima trasformazione delle dee in una tinozza d’acqua, ripropone ai nostri sensi increduli la leggenda medievale di Melusina, donna fatata metà serpente d’acqua e metà vogliosa fanciulla, rappresentazione perfetta ai nostri occhi occidentali della sensualità femminile vista come pericolosa e ambigua, legata alle acque, elemento mobile in continua metamorfosi, che a volte assume i tratti della fascinazione mortale, mentre la scena di “tentazione” del Monaco nel paese dei Nagas, creature ibride e lussuriose è degna delle “Tentazioni di Sant’Antonio” di Hyeronymus Bosch per potenza plastica e visionaria. Ma dove Tsui Hark dà il meglio di sé è nelle scene del più puro cinema “Wu Xia” (traducibile come il nostro “Cappa e spada”); Immense colonne d’acqua evocate dalle Nagini si abbattono sulle montagne volanti evocate dal Monaco, guerrieri superumani si scontrano con Gru divine dotate di poteri immensi, mentre sempre un agguerrito monaco insegue gli spiriti dei boschi con sigilli fiammeggianti e spade soprannaturali, non facendoci per nulla rimpiangere i fasti di “A chinese Ghost story” di Ching Siu Tung. Ultima fatica di Tsui Hark, un film che ha necessitato di 7 anni di lavorazione ed è infine uscito nel 2010: “Detective Dee and the Mystery of the Phantom Phlame”, un Wuxia-Mystery dove, purtroppo o per fortuna ai fini della trama, l’unico elemento sovrannaturale è costituito dall’abilità e dall’astuzia dei protagonisti, anche questo da non perdere …

Mariano D’Anza