Charles Williams, Le Origini della “Dark-Fantasy”
Mondi Fantastici e dottrine Esoteriche
Un uomo vaga per le strade di una
Londra “trasfigurata”, oscura e crepuscolare, fantasticando sul potere e sulla
gloria e su come riuscirà a ridurre il
mondo in schiavitù, in questa e in un’altra vita. Non si tratta di una
variazione del romanzo di formazione e non stiamo ascoltando le farneticazioni
di un pazzo, siamo invece di fronte ai piani di conquista di uno dei più
potenti e temibili negromanti che il mondo abbia mai conosciuto, Simon Leclerc
(Un Avatar dell’Evangelico Simon Mago), e ci troviamo all’interno di uno dei
più originali romanzi di “Dark Fantasy” ante-litteram mai scritti; “All Hallow’s
Eve” (trad. it. “La notte di Ognissanti” Ed. Rusconi, 1975) dello scrittore e
professore di studi rinascimentali e medievali, l’oxoniense Charles Williams.
Williams fece parte di quella eletta schiera di studiosi, scrittori, amanti di
antiche saghe pre-cristiane, poemetti allegorici medievali e “lays” arturiani
che furono gli “Inklings”, i quali poterono beneficiare a lungo della guida e
del supporto culturale di J.R.R. Tolkien e C.S.Lewis. Williams fu l’ultimo ad
unirsi al gruppo, dietro insistenza espressa di C.S.Lewis, il cattolico
fervente della “società” che per tutta la vita vide in lui un vero e proprio
“Guru”. Quello studioso, dai modi estremamente riservati e dalla cultura
pressoché sconfinata (Williams fu anche uno dei più grandi traduttori e
commentatori dell’opera di Dante in lingua anglosassone) non tardò ad imporsi
nel gruppo, con romanzi come il già citato “All Hollow’s Eve”, “War in Heaven”,
“Descent into Hell” ed alcuni altri. Tolkien riconobbe fin da subito il valore
letterario di tali romanzi ma guardò sempre con sospetto al suo autore,
ritenendo che la sua opera e la sua vita, fossero ispirate da dottrine e
convincimenti abbastanza lontani dallo spirito degli “Inklings”, improntato altresì
ad un cristianesimo “militante”, allegorico oltre che simbolico e,
naturalmente, epico. Stabilendo un confronto superficiale fra l’opera di
Williams e quella dei suoi più conosciuti sodali, sicuramente balzano
all’occhio alcune peculiarità tutt’altro che irrilevanti. Sia Tolkien che Lewis
scelsero di rappresentare l’eterna lotta fra Bene e Male in mondi “Altri”,
simbolicamente “collegati” al nostro, stiamo pensando alla “Terra di Mezzo” di
Tolkien e alla “Narnia” di Lewis, inoltre entrambi gli autori avevano in mente
concetti molto “concreti” per quanto riguarda la generica definizione di
“Male”. In Tolkien si tratta della schiavitù abbrutente (rappresentata dagli
“Orks”), dell’ambizione che divora ogni residuo di umanità (rappresentata da
tutti coloro che cadono vittima dei poteri dell’anello), dalla presunzione e
dall’odio, mentre in Lewis il Male è la tentazione per il proibito, l’arma
peggiore delle “potenze dell’aria” che fanno sembrare il più orribile dei
peccati nient’altro se non una fanciullesca effrazione a regole incomprensibili
ed asfissianti. Williams invece ambienta tutti i suoi romanzi nella prosaica
Inghilterra, industriale e rurale, del dopoguerra ed i suoi protagonisti non
sono valorosi cavalieri, coraggiosi Hobbit o distanti Elfi, bensì curati di
campagna, studenti e studentesse di Oxford, pittori di belle speranze, uomini e
donne comuni insomma, eppure si tratta di narrazioni piene di apparizioni
dell’Altro mondo, Negromanti, Potenze Celesti e infernali, Bestie Fantastiche
etc. Tolkien inoltre usciva attivamente dalla prima guerra mondiale, dalle
trincee asfissianti, dal tiro costante delle mitragliatrici e dalla paura
onnipresente e terribile della morte, da qui forse le sue impressionanti,
seppure “idealizzate” in un senso epico, quel senso che mancò totalmente alla
disumana macelleria della “Grande Guerra”, descrizioni di battaglie campali.
Aveva dunque un concetto molto chiaro di cosa intendesse per “Male”, pure
Williams aveva il suo, ma era molto più sottile.
“at bottom a darkness has
always haunted me”, ebbe a dire una volta Williams ad un suo amico, eppure
Lewis lo descriveva come la quintessenza della cavalleria, della generosità e
della cultura, dunque quale era la natura di quella forza onnipossente che
sembrava ossessionarlo? Leggendo i suoi romanzi, emerge la costante impressione
del fatto che Williams, come tutti i mistici che lui conosceva ed annotava,
possedesse la naturale convinzione che i conflitti, i mali e le guerre che
opprimono questo mondo siano la diretta conseguenza dei conflitti cosmici che
avvengono in un’altra realtà, una realtà “Parallela” alla nostra, eppure
“intrecciata” alle nostre vicende e alla nostra storia contingente, la realtà
dei miti, delle leggende e dei simboli. Da bravo mistico, egli tentò,
diversamente dai suoi colleghi, di saperne di più sulla natura e sulle forze
operanti in questa “Realtà” parallela, sfociando in quel fiume enorme ed
eterogeneo che è nato quando nacque il concetto stesso di una Divinità
creatrice e al tempo stesso distante ed il cui nome è “Teosofia”, ovvero,
“Scienza delle Cose divine”. La conoscenza amicale che Williams intrecciò con
il signor Arthur Edward Waite, gettò sul suo mondo quella luce della quale era
in cerca da molto tempo. Waite era una poco ortodossa figura di studioso, artista
e poligrafo, conoscitore di dottrine esoteriche ed entusiastico
“enciclopedista” delle stesse. Fondatore della “Societas Rosicruciana in
Anglia” (una branca della “Outer Masonry”, che faceva risalire le proprie
origini ai Rosacroce tedeschi del 1700, una società segreta che professava un
cristianesimo esoterico, mistico, riservato a pochi), nonché membro eminente
della più famosa “Golden Dawn”, altra società “segreta” della quale fecero
parte anche Sax Rohmer e il premio Nobel W.B.Yeats, Waite introdusse Williams
ai rituali di queste società, rituali di magia “Cerimoniale”, la cui grandezza
ed opulenza era ricalcata sulle magnifiche cerimonie “ermetiche”
rinascimentali, così ben adombrate nella prosa di un Marsilio Ficino. Stando
alle entusiastiche descrizioni che Yeats fece di queste cerimonie in
“Autobiographies”, si trattava di rituali durante i quali si pronunciavano
“nomi di potere”, si indossavano vesti ricche e colorate a colori simbolici
rappresentanti i quattro elementi classici (terra, fuoco, aria e acqua), si
impugnavano splendide armi, gioielli e costumi esotici, si bruciavano incensi
ed oppiacei per rispettare congiunzioni simboliche con pianeti, pietre,
animali, Dèi e Angeli (un altro Mago, il
sulfureo Aleister Crowley, offrirà invece un quadro piuttosto squallido di
queste cerimonie). Nonostante la “Teurgia” (lett. “Invocazione di forze
Divine”), che i seguaci della “Golden Dawn” consideravano un aspetto della
Magia Cerimoniale sia a tutt’oggi considerata dalla Chiesa Cattolica come una
disciplina proibita e condannata, Williams ne difese fino all’ultimo la
validità conoscitiva ed affermò trattarsi di una dottrina assolutamente non in
opposizione con quella Cattolica ed in questo non fece altro se non ripetere,
nell’Inghilterra del XX secolo, l’appassionata difesa che il rinascimentale
Pico della Mirandola fece della Cabala “Cristiana”. Williams fece sue alcune
conoscenze proprie appunto della Cabala (o “Qabbalah”) ebraica, una forma
“esoterica” di riflessione sull’Antico Testamento, che, fra le sue tecniche di
meditazione, associa ogni lettera del testo sacro ad un valore numerico
(“Gematria”), ed opera “Trasmutazioni” di nomi e lettere allo scopo di
costruire sentenze mistiche e simboliche che vengono considerate come veri e
propri testi “altri” e paralleli al Testo sacro originale. Mediante tali
tecniche, che Waite conosceva bene, Williams diede forza alla sua convinzione
di un Mondo “Altro” fatto di simboli e di figure Divine e demoniache, adombrato
da questo, ma soprattutto arrivò a concepire la stretta relazione che
intercorre fra il mondo Divino e quello umano e contingente, che costituisce la
preoccupazione di ogni mistico.
La “Teosofia” cabalistica infatti, sotto
l’influsso della proibizione ebraica a rappresentare le fattezze divine, ha
elaborato, in epoca medievale, una complessa fisiologia “sottile” tesa a
descrivere la Divinità secondo i suoi attributi (Potenza, Saggezza, etc.).
All’interno di uno schema ascendente, chiamato dai cabalisti “Albero della vita”,
gli attributi divini vengono associati a sfere di vari colori (probabilmente di
origine planetaria) chiamate “Sephiroth” le quali, fra le altre cose, vengono
associate allo schema stesso di un ideale “Corpo” di Dio. Così “Kheter” (la
Corona) sarà la sua testa, Binah (la Saggezza) corrisponderà al suo cuore, e
così via, fino addirittura ad arrivare al sesso (in senso discendente). L’idea
che la realtà e perfino il nostro stesso corpo possieda una “risonanza” tutta
sua che lo collega alle forze tutte del cosmo era già un’idea rinascimentale,
un’idea che personaggi come Pico della Mirandola, Cornelio Agrippa, Marsilio
Ficino e lo stesso Luigi Pulci (il creatore del “Morgante”, uno dei primi
capolavori di Fantasy in assoluto) mutuarono direttamente dalla Cabala ebraica
e Williams, che era professore di studi rinascimentali a Oxford, non fece altro
se non continuare questa tradizione, integrandola con quelle pratiche
“cerimoniali” che Waite gli fornì come supporto “pratico-operativo”. I rituali
della Golden Dawn prevedevano un avanzamento dei “gradi” (da “Adepto” a “Magus”
a “Ipsissimus”) fortemente legato alla simbologia cabalistica ed associavano
tutto un complesso di divinità, angeli tutelari, profumi e colori specifici di
ciascun attributo o “Sephirah”. Per ampliare e diffondere tale profonda
credenza, che cioè l’uomo sia collegato intimamente a ciascuna e a tutte le
forze del cosmo, Williams fece appello alle sue sconfinate conoscenze
filologiche, con risultati che possono ben stare alla pari con quelli di Tolkien.
In uno dei suoi componimenti poetici più famosi; “Taliessin through Logres” che
si ancora all’immaginario celtico e profetico del mondo anglosassone
pre-cristiano, Williams fornisce la suggestiva immagine di una mappa
dell’Europa corrispondente alla parti del corpo umano, immagine sicuramente
mutuata dalla composizione “Sefirotica” del corpo di Dio (Origine ed
“Archetipo” di quello umano appunto).
Alle origini della Dark-Fantasy
I Mondi fantastici suggeriti da
Williams, sono pertanto di genere più “sottile” rispetto a quelli di Tolkien o
Lewis. Quest’ultimo si avvicinò forse a ciò che Williams voleva mostrare in
almeno due dei suoi scritti meno conosciuti. Nel bel libro: "The Pilgrim's Regress" (“Le due Vie del
Pellegrino” trad. Jaca-book, Roma 1979).
Lewis abbandona il genere
dell’allegoria di tipo cristiano-medievale, per abbracciare il mondo dei
simboli, sorta di figure allegoriche “più profonde” in quanto richiamantesi a
concetti ancestrali, solo superficialmente riferibili a caratteristiche morali
o etiche e soprattutto, non ubicabili storicamente a questa o quella vicenda
umana contingente. Il “Pilgrim” delle “Due vie” è un erede dei cavalieri
Parsifal, Galahad e Bors della “Quete du Graal” medievale, è l’archetipo
dell’uomo comune “trasfigurato” dal suo cimento nella “quest”, alla ricerca di
un senso profondo dell’esistenza e alle prese con le difficoltà e i perigli
della vita, incarnati in figure ominose come Draghi, Grifoni nani e fate
Morgane. La “Trilogia di Edwin Ransom” costituisce invece un’ ennesima apertura
a quel mondo “sottile” del quale la prosa di Williams è densa. Lewis ambienta
le avventure del “viaggiatore interstellare”, nonché “Detective psichico”
(nella tradizione dei vari John Silence e Carnacki) all’interno di una
“Battaglia cosmica” fra bene e Male, combattuta su questo e in altri mondi, al
tempo della seconda Guerra Mondiale. Suggerisce quel concetto, caro a Williams,
per il quale le lotte e i rivolgimenti che avvengono in “questo” Mondo siano
solo il riflesso materiale di ciò che avviene in mondi “spirituali”,
archetipici e simbolici. Così ecco Ransom combattere sul pianeta Perelandra
contro l’essenza stessa del Male, incarnata in una figura femminile dai tratti
Vampirici e rettileschi, oppure opporsi, sulla Terra, al ritorno della Magia
pagana e barbarica, incarnata nella figura potentissima del Merlino celtico,
contro una “setta” (nei caratteri dei cui componenti sono riconoscibili i
tratti del nazismo esoterico e magico) che vuole usare le forze di Merlino per
i propri progetti di conquista e dominio del Mondo. Questa idea della “Lotta su
più piani di esistenza” diventerà un tratto caratteristico di certa Fantasy
statunitense, il cui più emblematico rappresentante sarà l’immaginifico Poul
Anderson, scrittore pluripremiato di Fantasy e FS.
Anderson ambienta questo
genere di conflitto nel Mondo, a lui molto caro, della saghe Norvegesi e
Danesi, ad esempio in un capolavoro come “Tre Cuori e Tre Leoni” (trad. it. Ed.
Nord), laddove un onesto e coraggioso giovanottone danese, durante una lotta
particolarmente cruenta contro un gruppo di nazisti si ritrova catapultato nel
magico Mondo di Faerie, abitato da Streghe Esseri fatati, Giganti, Trolls e
fanciulle-cigno, Mondo nel quale egli scoprirà di essere, nientemeno, che l’incarnazione
di Oggieri il Danese, il mitico cavaliere protagonista, insieme a Orlando, dei
“Cantari di Gesta” incentrati sulla figura di Carlo Magno. Le “Corrispondenze
Archetipali” costituiscono uno dei punti di maggior forza all’interno delle
complicate trame di Charles Williams. In uno dei suoi romanzi più riusciti;
“The Place of the Lion” (Trad. It. “Il Posto del Leone”, Ed. Jaca Book 1996),
Una agguerrita studentessa di Oxford evoca nel nostro Mondo, con la pura forza
della propria smisurata ambizione accademica, gli Archetipi stessi
dell’Iperuranio platonico, ovvero quelle “Forze dell’Immaginazione” primordiali
che contengono nella loro propria essenza generale e increata la somma delle
proprie manifestazioni individuali. Si sono sprecati interi libri di Filosofia
per dimostrare quanto la teoria platonica degli Archetipi sia debitrice delle
dottrine Vedantiche Hindu, con il loro concetto di Brahman (Essenza universale,
Unica, ingenerata e increata) e le sue manifestazioni singolari sotto forma di
Dei e Dèe, concepite nella loro “Avidya” (apparenza) come entità singole e
separate e poco importa che Williams conoscesse o no le origini o gli sviluppi
di questa “querelle” culturale, quello che è certo è che egli conosceva fin
troppo bene il “Modus Operandi” degli Archetipi.
Quando l’Archetipo del Leone
(di lewisiana memoria) fa la sua apparizione nella placida campagna oxoniense,
richiamato dall’ambizione femminile della protagonista (Il Leone corrisponde
anche all’Arcano Maggiore dei Tarocchi denominato “La Forza” e corrispondente
alla volontà ed alle ambizioni umane) non è infatti un Leone qualsiasi è
l’”Essenza stessa” del genere Leone, la somma di tutti i suoi “Avatar”
particolari, risultato; nel momento in cui appare l’Archetipo, tutti i leoni
della Terra scompaiono “riassorbiti” all’interno della loro immagine
“Universale” e così pure avviene per gli altri Archetipi che fanno la loro
comparsa nel romanzo. Suddette immagini seminano il panico ad Oxford, fin
quando i protagonisti non apprendono che tali forze occulte sono forze “umane”,
dunque in grado di venire dominate dalla volontà e dall’immaginazione del
genere “Homo”. Già da questo esempio è possibile stabilire una differenza fra
il genere di Fantasy tolkeniano e quello concepito da Williams. La “Terra di
Mezzo” di Tolkien infatti, non è che una immagine allegorica della nostra, un
Mondo “alternativo” che può o non può venire collegato al nostro. Nani, Orchi
Elfi ed Hobbit, corrispondono ad immagini rigorosamente allegoriche, laddove; i
Nani rappresenterebbero la curiosità umana e l’ambizione (conoscenza occulta
dei segreti della Terra) facilmente soggetta al demone dell’Avidità, gli Elfi
all’Immaginazione umana “forgiata nel fuoco delle origini” facilmente
reversibile nella prevaricazione e nella volontà di dominio, gli Hobbit
corrispondono invece alla semplicità e alla purezza, il cui specchio oscuro è
il campanilismo, la vigliaccheria e il provincialismo. Ma Williams è
“consapevole” di una “reale” interdipendenza fra il Nostro ed altri Mondi, di
una “Risonanza” occulta per la quale le forze all’Opera nel nostro Mondo sono
causate e sono causa a loro volta di eventi rilevanti che avvengono in Mondi
“Paralleli”, coesistenti e, a volte consustanziali al Nostro, Mondi con regole
proprie, abitanti propri e “Potenze” proprie. Lewis, nella lettera che scrisse
a commento di “The Place of the Lion” (fedelmente riprodotta nell’edizione
italiana) insiste sulle caratteristiche di Fantasy “cristiana” del Romanzo,
insiste cioè a voler interpretare il contenuto del Romanzo come un commentario
teologico a proposito del peccato di ambizione ;” … abuso dell’intelletto cui è
oltremodo suscettibile la mia professione (leggi quella di Professore
oxoniense)”, ma dimostra di aver ben appreso la lezione del “mentore” Williams
quando descrive gli usi e i costumi delle razze autoctone di Perelandra e del
“Pianeta Silenzioso” nella sua “Trilogia di Ransom”. Le dottrine alle quali
Williams dedicò tanto tempo ed energie, professavano appunto tutta una serie di
“credenze scientifiche” di questo tenore (L’Occultismo, in ultima istanza,
altro non è se non una “Scienza dello Sconosciuto”), ovvero che fosse possibile
entrare in contatto “reale” con essenze e creature di “Altri Mondi” mediante
l’ausilio dell’ Immaginazione umana “allenata” alla visione di tali entità
sotto forma di simboli, ideale commentario al famoso detto; “Tutte le Leggende
possiedono un fondo di Verità”.
Un piccolo diavoletto rosso
Sempre Lewis, in un suo
romanzetto “apologetico” chiamato “The great Divorce”, ci presenta un Angelo
che si offre di liberare l’anima condannata dal suo tormento espiatorio, purché
rinunci al peso del suo peccato, simbolizzato da un diavolo rosso attaccato
alla sua spalla. Naturalmente il demonio non cederà tanto facilmente, inutile
dirlo. Tutta la vicenda è “simbolica” in realtà, in quanto per tutti gli
“Inklings” (ed anche per narratori del Fantastico inglese quali Arthur Machen e
Algernon Blackwood) il peccato ed il Male esistono e sono realtà “concrete”,
poco importa che a sostegno di tale verità si chiami in causa la dottrina
Cattolica, quella Anglicana della Predestinazione o quella esoterica della
Qabbalah. Il primo passo è riconoscere l’esistenza del Male, riconoscere che
viviamo in un’isola di beata ignoranza, nella quale non c’è posto o non c’è
spazio apparente per realtà “alternative”. La Londra dei narratori ai quali
facciamo riferimento è un’allegoria della prosaica realtà umana, fatta di
costanti impegni per sopperire alla mera sopravvivenza, una realtà composta da
studenti, impiegati, banchieri, pittori o semplici sognatori squattrinati. Ma
ecco, all’improvviso l’Ignoto fa la sua comparsa, la Meraviglia supera la
Soglia che i nostri impegni quotidiani tengono sbarrata e invade la nostra
ordinata e prosaica Realtà, generando scompiglio e terrore, a quel punto non
rimane che una scelta, affrontarla o soccombere ad essa. Il Male è più
preparato di noi a combattere questa guerra perenne. Egli sa che la nostra
percezione corrente non è che un velo, un diorama che può sollevarsi a suo piacimento
per rivelare l’esistenza di altri mondi e altri conflitti, e gli agenti del
Male sanno come sollevare questo velo e nuocerci, in maniere che non osiamo
neppure immaginare. Charles Williams elaborò una interessante dottrina, quella
della “Co-Inerenza”, per la quale la Creazione, così come noi la intendiamo non
esiste solo nel momento presente, ma anche, e soprattutto allo stesso tempo, in
quello passato e in quello futuro. Il Male conosce bene questa realtà, ecco
perché ha un vantaggio in più rispetto a noi. E’ proprio in virtù della
“Co-Inerenza”, che il Mago Simon Leclerc di “All Hallow’s Eve” può trascorrere
l’Eternità indisturbato per perseguire i suoi sogni di Sacerdozio eterno e
dominio del Mondo. Inoltre “L’Altro Mondo” convive contemporaneamente al
Nostro, pertanto le vittime che Simon Leclerc asservisce alla propria sete di
dominio, non saranno sue schiave solo in questa Realtà, ma anche in quella dei
Morti e dei trapassati (in sintesi l’essenza della Necromanzia medievale,
ovvero la facoltà diabolica di utilizzare i morti per i propri fini), fin
quando le forze del Bene non comprenderanno che anche loro sono soggette alla
Legge della “Co-Inerenza”. Una volta assodato questo, il protagonista della
Novella si avvarrà dell’aiuto della propria moglie, defunta da tempo durante un
incidente aereo, ma sempre vicina a lui anche se su di un piano più “sottile” e
potrà rendere a Leclerc pan per focaccia.
Allo stesso modo, in “War in Heaven”
(Trad. It. “Guerra in Cielo”, Jaca Book 1994) l’apparizione del Santo Graal
sulla Terra richiama automaticamente le forze del Male, rappresentate da
streghe e stregoni, le quali conoscono molto bene i riti per incatenare al Male
ciò che è puro e buono, mentre un semplice curato di campagna faticherà non
poco a comprendere che le forze soprannaturali di altri mondi sono ben lungi
dall’essere una mera allegoria di vizi e
di virtù umane. Benché in Williams l’elemento
orrorifico, rappresentato da streghe, fantasmi, Necromanti ed esseri maligni,
abbondi, egli non si limita solo a mostrare questo. Un Romanzo del terrore, si
ferma inevitabilmente all’irruzione dell’ignoto nella vita quotidiana ed alla
inevitabile sconfitta del prosaico; il Fantasy invece prosegue “Oltre la
Soglia”, laddove la battaglia infine ha luogo e la lotta contro l’Orrore
contiene in sé la promessa di una realtà più piena, più densa di significato,
trasfigurante oseremo dire, da qui l’aspetto “iniziatico” di ogni buona Fantasy
che si rispetti. Abbiamo già detto che Williams era ossessionato, come ogni
buon Mistico (come lo fu anche il gallese Arthur Machen ad esempio) dal
problema del Male. Certi suoi atteggiamenti rivelavano altresì una certa dose
di sadismo (vedi in proposito il saggio “Charles Williams: The Last Magician”,
Grevel Lindrop, 2008) come testimoniano i seguenti versi tratti da un suo
componimento:
“My mind possessed me with delight
To wrack her lovely head
With slow device of subtle pain.”
Williams sentiva la necessità di superare il semplice problema del Male
(semplice nella sua manifestazione prima, ovvero il Terrore), di comprenderne
la Natura per così comprendere anche la natura delle Forze benigne del Creato.
Waite gli fornì così una infarinatura di Magia Nera essendo infatti uno storico
appassionato di dottrine occulte, infarinatura alla quale Williams attinse a
piene mani in Romanzi come “War in Heaven” e “Descent into Hell”. Superata però
la soglia del Terrore, attende l’ultima prova, quella della natura
“Reintegrata”, nella sua essenza, ricongiunta nel senso di appartenenza a tutto
il Creato. Ecco perché Williams fu un convinto sostenitore della concezione
dell’Amore umano (nella sua accezione erotica e non platonica) in quanto
specchio di quello divino. Ciò comporta dei sacrifici, in quanto è estremamente
difficile riunire ciò che Dio (o gli Dèi secondo il “Simposio” di Platone)
hanno separato.
In “All Hallow’s Eve” è come se i due protagonisti dovessero
nuovamente sposarsi, la seconda volta in maniera realmente più “sottile”. La
prima volta furono uniti nell’amore umano, la seconda celebreranno un
matrimonio mistico fra due Mondi, dato che Richard è ancora vivo, mentre la
Moglie appartiene oramai al mondo dei Morti, un matrimonio “alchemico” se
vogliamo. Per Williams l’amore possiede sempre una qualità ambigua ed “eroica”,
quasi cosmogonica. Due Mondi e due Potenze si tratta di unire, non solo due
corpi ed è un po’ quello che lo stesso Tolkien vuole suggerire con il suo
“Matrimonio Sacro” fra il Re umano Aragorn e la sua elfica consorte Arwen.
Williams celebrò tale dicotomia mantenendo una relazione extraconiugale durata
ben diciotto anni (di tipo platonico stando ad i suoi biografi) con la
signorina Phyllis Jones, relazione molto conflittuale e sulla quale ebbe ben
più che un ripensamento.
L’eredità di Williams, la
Dark-Fantasy propriamente detta
Per i più “profani” si può dire che il genere “Dark Fantasy” possieda
la struttura del Fantasy (con tutti gli elementi di “Quest” lotta del Bene
contro il Male etc.) con in più elementi del classico racconto del Terrore
(Zombi, lupi mannari, Spettri, Stregoni etc.) ma abbiamo visto che la faccenda
è molto più complessa e sta molto più a monte. Williams è stato in realtà il
capostipite di questo genere e gli ha procurato una struttura complessa e
articolata quanto e più del complesso apparato simbolico-allegorico che sta a
monte del “Signore degli Anelli” del suo collega “Inkling” J.R.R.Tolkien. In
ordine di anzianità, si può dire che i primi eredi diretti di Williams sono
stati i britannici Brian Lumley e Tanith Lee. Il primo ha scelto di dotare il
complesso simbolismo inerente al pessimismo cosmico di matrice lovecraftiana di
una struttura “Fantasy” con tanto di suddivisione in magia bianca (operata da
Deità benigne come il celtico Nodens) e magia nera, scienza oscura praticata
dai “Grandi Antichi” e dai loro perversi seguaci, con una operazione che
assomiglia molto al ciclo di Edwin Ransom di Lewisiana memoria. La “Saga di
Titus Crow” di Lumley (trad. it. Per Fanucci editore, coppia di volumi oramai
fuori catalogo), possiede molti elementi dei classici racconti di
“Investigatori psichici”, come il John Silence di Algernon Blackwood e il
Carnacki di W.H.Hodgson, combinati con il racconto “onirico” alla Dunsany e,
naturalmente, con il ciclo di Cthulhu di H.P.Lovecraft. Nel romanzo “Khai di
Khem” invece, ambientato in un oscuro Egitto pre-dinastico pieno di elementi
magici, Lumley affronta il tema della Reincarnazione e della Magia esoterica egizia,
raggiungendo quadri di notevole potenza, che accomunano il romanzo alle
soluzioni adottate in “All Hallow’s Eve”. Per quanto invece riguarda le opere
della scrittrice pluripremiata Tanith Lee, gli elementi in comune con le
tematiche introdotte da Williams non si contano. Tutti i temi esoterici vengono
trattati dalla Lee con maestria inusitata; dalla Reincarnazione, al tema degli
angeli caduti, dai tarocchi alla stregoneria medievale, all’interno di
bellissimi romanzi come “Lord of Delusions”, “Nightlords”, “The secret books of
Paradys I & II” e “Volkhavaar”. Sono trame complesse quelle della Lee,
misto di crudeltà e di tenerezza (tratti caratteristici sia della prosa che
della poesia di Williams come abbiamo visto), delineate in Mondi paralleli al
nostro, oppure in passati e futuri che ci appartengono ma di cui abbiamo
smarrito il ricordo, o riferentisi a Mondi “sottili” per riconoscere i quali
bisogna possedere una “vista” allenata.
Ma a tutt’oggi, l’allievo più
promettente di Williams si è rivelato lo statunitense Tim Powers. Benché la
complessità delle trame di Powers risenta molto della narrativa di P.K.Dick
(del quale Powers è stato amico e ammiratore devoto) pure l’apparato simbolico
e immaginifico dei suoi romanzi è fortemente debitore dei romanzi di Williams
(per stessa ammissione di Powers). Il romanzo “From stranger Tides” (trad. it.
“Mari Stregati”, Per Fanucci, 2011), tornato alla ribalta negli ultimi tempi a
causa del (poveramente basato) riadattamento cinematografico della Disney,
mantiene praticamente intatta la struttura di “All Hallow’s Eve”, con, in più,
tutto il fascino di una storia di pirati vecchio stile alla “Capitan Blood” di
Rafael Sabatini. Proprio come nel romanzo di Williams, qui il tema centrale è
appunto costituito dalla Necromanzia, che in Powers si svincola delle sue
radici medievali per radicarsi nell’esotico mondo del Voodoo
haitiano-caraibico, con i suoi maligni bocor, le sue ciurme di Zombi e la magia
simpatetica. Le veci di Simon Leclerc sono “prese in custodia” da una coppia di
convincenti stregoni inglesi, tesi ad operare commistioni occulte fra magia
rinascimentale e stregoneria africana e la cosa più bella è che Powers si
documenta in maniera ineccepibile, descrivendo complesse cerimonie magiche e
combinandole con rigorose proprietà scientifiche, secondo una formula
felicissima che ripeterà invariata in tutti i suoi romanzi. In “Anubis Gates”
(trad. it. “Le porte di Anubis”, Fanucci ed. 1991), da molti considerato come
il suo capolavoro, si assiste a paradossi e salti temporali (con l’invariabile
elemento magico di sottofondo), ma l’opera è più una riflessione sul concetto
teologico della Predestinazione (spiegata in termini scientifici) che non
un’originale opera di fantascienza ispirata al filone Steampunk, come affermano
i suoi critici più classici. “The Last Call” invece, collega il simbolismo dei
Tarocchi al gioco del Poker ed è, a paragone di chi scrive, un capolavoro.
Ambientata nella Los Angeles creata dal Gangster “Bugsie” Siegel (al quale
viene ritagliato anche un piccolo, importante cammeo), prende spunto
rispettivamente dai romanzi di Williams “The Greater Trumps” (sul simbolismo
dei Tarocchi) e “Descent into Hell”. Il malvagio di turno apprende, utilizzando
le figure di un mazzo di tarocchi “maledetto” a proiettare la propria anima in
altri corpi per allungare indefinitamente la propria giovinezza, esattamente
come lo stregone malvagio di “Descent into Hell”. I Tarocchi di Powers sono in
realtà immagini archetipiche di Dèi e Dèe (come la lunare Lilith-Astarte
babilonese), dunque potenze archetipiche (come quelle di “The Place of the
Lion”), inoltre permettono di anticipare il passato e scrutare il futuro (come
gli Arcani Maggiori di “The Greater Trump”), il tutto abilmente mescolato alle
superstizioni e alla “cabala dei numeri” propri del sottomondo dei “gamblers”
di professione.
“The stress of Her Regard” (trad. it. “Lamia” Fanucci ed.) è
chiaramente ispirato a “Descent into Hell” ed ha preteso da Powers un notevole
lavoro di documentazione sulla vita e le vicende dei Poeti Romantici George
Byron e Percy Bysshe Shelley. Prendendo spunto dal tema del “Doppelganger”
(doppio oscuro e demoniaco) al quale fa oscuramente riferimento lo stesso
Shelley nel suo “Prometheus Unbound”, Powers riprende tutto l’apparato di
Williams relativo al vampiro biblico Lilith ed ai fantastici e terribili
“Succubi”, facendone risalire la stirpe ai mitici Angeli caduti chiamati
Nephilim (“I Veglianti”) dell’apocrifo “Vangelo di Enoch”, descrivendoli come
una razza aliena, precedente alla nostra in termini storici, attirata da noi in
termini erotici e soggetta ad una serie di restrizioni e regole, misto di
proprietà magico-esoteriche e di elementi scientifici abilmente combinati fra
di loro (secondo la regola classica).
Purtroppo non tutta l’opera di Tim Powers
è stata tradotta in italiano e la maggior parte di ciò che è stato tradotto è
oramai fuori catalogo. Un vero peccato dato che Powers non ha perso un colpo
nel descrivere trame complicate e dense di personaggi credibilissimi e
indimenticabili. Nella sua penultima fatica; “Declare” (2001), Powers si
propone addirittura di descrivere una Guerra Fredda “esoterica” a basi di magie
ancestrali e creature leggendarie (fra le quali l’immancabile Merlino), una
trama che Charles Williams avrebbe di sicuro apprezzato.
Mariano D’Anza
Charles Williams: Bibliografia
parziale
“La notte di Ognissanti”, Rusconi, 1975
“Il Posto del Leone”, Jaca Book, 1996
“La Pietra di Salomone”, Jaca Book, 1983
“Guerra in Cielo” (Con un articolo introduttivo di T-S.Eliot), Jaca
Book, 1994
"Discesa all'inferno" tr. di Aldo Camerino, La Sfera 2, Sodalizio del Libro, 1959
"Discesa all'inferno" tr. di Aldo Camerino, La Sfera 2, Sodalizio del Libro, 1959
Tutti i romanzi di Charles Williams sono scaricabili gratuitamente (in
lingua inglese) sul sito “Project Gutenberg”.